Articoli

Venerdì, 10 Gennaio 2014 16:36

Aggressività, comunicazione e capacità creative

L'unica strada per aiutare gli uomini a superare la violenza è di insegnare loro come incanalare la rabbia.

La rabbia è, infatti, come l'energia elettrica: usata male uccide, usata bene è il motore che aziona mille cose (GHANDI).

DAL DESIDERIO ALL'AGGRESSIVITÀ

L'aggressività naturale e la rabbia (come reazione alla frustrazione) sono emozioni spesso fraintese, inibite e represse nel bambino e nell'adulto; ciò favorisce la loro trasformazione in rancore o violenza.

I termini aggressività, rabbia e violenza vengono frequentemente usati come sinonimi, per descrivere comportamenti di sopraffazione e sono, in linea di massima, giudicati negativamente e condannati; quest'ambiguità di significato è dovuta anche al fatto che generalmente la persona non distingue con chiarezza le diverse sfumature vissute nell'esperienza aggressiva, ma le percepisce come un'unica manifestazione emotiva.

In certe condizioni, infatti, l'aggressività può trasformarsi in rabbia e la rabbia in violenza e quando queste trasformazioni diventano automatismi inconsapevoli anche i sentimenti si confondono e perdono il loro significato profondo ed originario.

La parola aggressività deriva dal latino «ad-gredior» che letteralmente significa "andare verso".

Nel suo significato etimologico essa sta a rappresentare un movimento verso qualcosa o qualcuno; la sua funzione è quindi quella di muovere la persona verso una meta, un oggetto, un'altra persona, ecc.

Alla base di ogni "movimento verso", e quindi di ogni aggressione, c'è un bisogno o un desiderio da soddisfare. Nei rapporti interpersonali l'aggressività è l'emozione-movimento che ci permette di prendere le cose e gli affetti di cui necessitiamo per il nostro benessere.

L'aggressività quindi non ha un significato intrinseco di "patologico"; diventa tale quando il soggetto non riesce più a controllarla, modularla, adeguarla alle situazioni o a "sublimarla" in attività creative.

La capacità di aggredire l'ambiente è fondamentale anche per la costruzione dell'identità e della sicurezza interiore, in quanto il nucleo portante della nostra identità si costituisce nei primi anni di vita nella relazione con l'ambiente ed il senso profondo di sicurezza, forza e integrità si consolida nel saper chiedere e prendere ciò di cui abbiamo bisogno.

Il neonato ed il bambino manifestano in modo esplicito l'aggressività e la rabbia e, di fronte a questi comportamenti, spesso noi adulti rimaniamo un po' sconcertati o stupiti, proviamo imbarazzo, invidia, paura, ecc.

Ciò avviene perché abbiamo in qualche modo perso la capacità di esprimere in modo diretto e chiaro le emozioni e l'utilizzo dell'aggressività finalizzata alla soddisfazione dei bisogni (siano essi fame, desiderio di essere abbracciati, "andare verso" il genitore o la persona amata, prendere un gioco o altro).

Siamo troppo spesso abituati a confonderla con la prevaricazione, l'arroganza, la competizione arrivista e l'invidia, ossia tutti quei sentimenti con connotati negativi che frequentemente intravediamo negli altri ma ben poco siamo disposti a riconoscere in noi stessi, quando ci appartengono...

Nel tentativo di contenere la violenza, la nostra cultura male accetta l'aggressività e, fin da piccoli, impariamo a reprimerla, inibirla o mascherarla; ma l'inibizione dell'aggressività porta alla rabbia (che è l'emozione suscitata dalla frustrazione o dalla proibizione) e la repressione della rabbia (considerata ancor più 'pericolosa' dell'aggressività), oltre che portare ad una inibizione anche dell'aggressività stessa porta a rancore (un misto di rabbia trattenuta e di paura), chiusura e spesso alla violenza.

I fattori che possono condizionare la comparsa di condotte auto ed eteroaggressive possono essere così schematizzati:

  1. fattori predisponenti: la vulnerabilità genetica, anomalie neurofisiologiche, disturbi dello sviluppo del sistema nervoso, abuso o abbandono nella prima infanzia, clima culturale di estremo permissivismo;
  2. fattori inibitori: autoidentificazione in norme sociali, culturali ed etiche, grado di intelligenza del soggetto e la sua capacità di pensiero astratto, il livello educativo, la paura della punizione, la fede religiosa professata;
  3. fattori di rischio: patologia psichiatrica, intossicazione da sostanze e da alcool, disturbi di personalità, presenza nella anamnesi di precedenti atti autolesivi o di violenza.

Sono poi da prendere in considerazione alcune caratteristiche demografiche quali la povertà, l'instabilità occupazionale e l'assenza di rapporti familiari, di amicizie e di figure di riferimento.

L'aggressività nel senso di andare verso è quindi da considerarsi 'positiva', se con 'positivo' intendiamo avere una finalità costruttiva (quindi di incontro) nella relazione; ciò vale anche per la rabbia 'adeguata' alla situazione, come aggressività forte per far fronte a limitazioni o impedimenti ingiustificati.

Va inoltre ricordato che la rabbia, quando impedita nell'espressione, trattenuta ed accumulata, finisce con l'esprimersi in contesti diversi da quelli in cui è insorta, o verso la persona che non è all'origine della frustrazione (la situazione del padre che viene maltrattato sul lavoro e a casa si sfoga sui figli, è un esempio classico di questa dinamica). In questi casi diventa 'negativa', nel senso che non è più finalizzata a costruire qualcosa, ma è rivolta 'contro', costituendo a volte il primo gradino della distruttività e della violenza.

L' ESPRESSIONE DELL' EMOZIONE

Le emozioni possono esprimersi (o non esprimersi) con una gamma di modalità che va dall'espressione diretta (per es. il bambino che afferra un gioco con forza e decisione e se lo porta alla bocca), alla rimozione, ovvero blocco e scomparsa (a volte apparente) di quel comportamento o atteggiamento emotivo.

Ci sono anche varie possibilità di espressione indiretta dell'emozione (ad es. "sono arrabbiato con te per un motivo preciso e mi lamento che sto male invece di esprimere la mia rabbia apertamente, perché ho paura di perdere il tuo affetto").

La repressione (intesa come non accettazione) dell'aggressività e la conseguente frustrazione dei bisogni sono tra le principali cause dell'insorgere della rabbia.

Anche quest'emozione è espressa molto presto dal neonato urlando e dimenandosi, quando ad esempio non riceve il latte entro il suo tempo di tolleranza dell'attesa (che varia con lo sviluppo ) o quando, più grande, gli viene tolto un gioco o impedito di fare qualcosa a cui tiene molto.

Nel bambino l'aggressività è indispensabile per distaccarsi delle figure genitoriali e per iniziare ad affrontare il mondo; il bambino che tocca gli oggetti, li apre, li rompe, mostra un'aggressività che, lungi dall'esser patologica, esprime il bisogno e la necessità di conoscere ciò che lo circonda.

Nella prima infanzia l'aggressività si sviluppa in modo molto graduale ed appare collegata a caratteri quali il sesso ed il temperamento; il bambino progressivamente impara che può essere aggressivo in vario modo e che non tutte le manifestazioni aggressive sono permesse; in seguito, nell'adolescenza, l'aggressività si carica di molteplici significati, adattativi e non, che si completeranno nell'età adulta.

I comportamenti aggressivi potranno infine canalizzarsi su argomenti, aspetti, interessi della vita quotidiana che vanno da un piano di realtà ad un piano simbolico: ci riferiamo al valore dello sport, della competizione nei vari campi (nel mondo economico, del lavoro, etc.).

Rabbia e violenza possono esprimersi in comportamenti verso l'esterno o, a certe condizioni, essere rivolte contro se stessi.

Contro se stessi le ritroviamo ad esempio nella depressione, in alcuni disturbi psicosomatici (quali gastrite, ulcera, alcuni dolori muscolari a braccia e spalle, ecc.) e, non ultimo, nel cancro, malattia che molte ricerche hanno mostrato essere più diffusa in persone che non esprimono mai l'aggressività e la rabbia piuttosto che in quelle che lo fanno.

Ciò non significa ovviamente che questa sia la causa del cancro, né che arrabbiandosi apertamente si possa guarire da questa malattia, ma vuol dire soltanto che le modalità espressive di questa emozione rivestono una componente importante anche sul piano fisiologico.

Si può affermare, quindi, che l'espressione dell'aggressività permette di raggiungere e soddisfare più obiettivi e bisogni individuali; di esprimere meglio se stessi e la propria personalità; di farsi spazio nella vita affrontando le difficoltà e gli impedimenti.

La repressione dell'aggressività e della rabbia porta, invece, ad una riduzione della capacità di farsi valere, contribuisce al cronicizzarsi dello stress ed al ripiegamento su se stessi, con il conseguente accumulo di rancore, odio e talvolta violenza.

Identità e aggressività Di fronte alle molteplici forme di violenza che dilagano sempre più in ogni settore della vita, ciascuno di noi si difende illudendosi di non essere come gli altri e di essere estraneo alla possibilità di macchiarsi delle brutalità, delle disonestà.

L'incomprensione e il distacco familiare, l'aggressività, l'egoismo, l'incapacità di dare e di amare sono talmente entrati a far parte del vivere quotidiano da essere considerate normali.

Da che cosa hanno origine le tendenze che portano all'aggressività?

La conoscenza dell'ambiente familiare è la condizione necessaria per comprendere le caratteristiche di ogni individuo.

La famiglia per un bambino rappresenta il primo mondo affettivo e sociale, il primo esempio di linguaggio espressivo, il primo modello di comportamento.

Esistono vari tipi di ambienti familiari

  • famiglie che riescono ad offrire ai figli un ambiente di serenità, di affetto, di stimoli
  • famiglie che riescono a soddisfare le esigenze e le aspirazioni dei figli
  • famiglie impreparate al compito educativo
  • famiglie che non si preoccupano della riuscita psichica dei figli, dove non esiste armonia tra i coniugi

Il tipo di "clima" influenza la formazione della personalità.

Individui provenienti da famiglie "democratiche", si dimostrano sicuri, indipendenti, creativi, disponibili alla collaborazione e in grado di sopportare determinate frustrazioni, tolleranti. Individui provenienti da famiglie "iperprotettive" si rivelano timidi, egoisti, remissivi, scarsamente creativi.

Individui provenienti da famiglie disgregate, che hanno ricevuto un'educazione repressiva, si dimostrano ostili, incapaci di autocontrollo, aggressivi.

A tutti i livelli dell'esperienza, nell'intero arco del ciclo vitale, si manifestano comportamenti aggressivi.

L'adolescente, per es., lotta per risolvere l'identificazione con i propri genitori, è in una fase di individuazione attraverso la quale manifesta il bisogno di costruire una propria identità, differenziandosi da quella che attribuisce ai propri genitori e cercando di affermare se stesso.

L'adolescenza è una fase che accomuna, nella turbolenza e nella rimessa in discussione, i figli, i genitori e la famiglia allargata. Il problema essenziale dell'adolescenza è la crisi di identità; ciò che è importante è la scelta tra l'idea di essersi fatto da solo e l'ammissione di una qualche dipendenza dai genitori.

L'identità può essere definita come l'insieme delle rappresentazioni e dei sentimenti che una persona ha di se stessa.

Ma può anche essere definita come quella dimensione psichica che consente di realizzarsi, di diventare e restare se stessi, in relazione agli altri, in una data società e cultura. Sono almeno sei i tratti costitutivi dell'identità:

  • Continuità – è ciò che consente di restare coerenti nel corso del tempo, identici o somiglianti a se stessi.
  • Coerenza – è la rappresentazione più o meno strutturata che abbiamo e che gli altri hanno di noi.
  • Unicità – è il sentimento di essere originale, unico. Può essere un tratto positivo ma può anche indicare chiusura e rifiuto degli altri.
  • Diversità – l'identità ha molte sfaccettature e ognuno di noi ha varie appartenenze. Ciò può costituire una ricchezza (articolazione dei nostri ruoli multipli) oppure una scissione, una frammentazione dell'Io.
  • Cambiamento – L'identità si realizza attraverso i comportamenti. Bisogna saper gestire il paradosso della trasformazione nella continuità.
  • Positività – Tutti hanno bisogno di pensare di valere, di stimarsi e di sentirsi apprezzati e riconosciuti. In caso contrario la costruzione dell'identità diventa problematica.

Nella vita quotidiana tutti questi tratti subiscono delle crisi o dei maltrattamenti.

Ci si può sentire privi di valore, constatare che molti nostri comportamenti sono in conflitto tra di loro, che bisogna cambiare rotta.

Si possono anche vivere dei conflitti di realtà nei confronti del proprio passato.

Vista in quest'ottica, l'identità costituisce uno sforzo costante per trasformarsi senza contraddirsi, il che non è sempre facile.

Ma che cosa succede quando un individuo si sente svalorizzato, non capito, emarginato dalla famiglia, dalla scuola, dagli amici, ecc.?

La violenza della rivolta ci da la misura della pressione necessaria per vincere i legami che uniscono l'adolescente ai suoi genitori, piuttosto che essere un indice della sua ostilità verso di loro.

Gli attacchi all'identità sono dolorosi e generano aggressività. La sofferenza psicologica che nasce da questa condizione porta l'individuo ad attuare una serie di contro misure, alcune "interiori" altre "esteriori".

L'aggressività è una forma di reazione che, quando è rivolta all'interno, produce disturbi psicologici e autodistruzione; quando è rivolta all'esterno innesca scontri e conflitti violenti.

L'assunzione di una identità deviante o negativa, oppure autosvalutante, non è una strategia infrequente in bambini o ragazzi che si sentono ignorati o svalorizzati nel loro ambiente, circondati da un ambiente di sfiducia, di sospetto, o incoerente e disorientante.

Piuttosto che essere ignorato, un ragazzo può preferire che si ride di lui, che lo si maltratti, o che lo si consideri pericoloso, "cattivo", perché in questo modo si sente particolare, acquisisce una qualche forma di identità.

In realtà il ricorso all'aggressione e all'attacco fisico è maggiore nei bambini piccoli, che più facilmente reagiscono impulsivamente e cercano di risolvere i conflitti che insorgono con i coetanei attraverso l'uso dell'aggressività fisica.

Le liti violente, le risse, gli attacchi aggressivi ai coetanei, non solo non aumentano in età adolescenziale, ma tendono anzi progressivamente a diminuire.

La sensazione che, nell'adolescenza, l'aggressione e la violenza aumentino, può essere ricondotta al fatto che tali azioni, in alcuni soggetti, continuano a persistere in forme visibili ed eclatanti.

In genere si tratta di ragazzi che già nelle età precedenti avevano manifestato un livello particolarmente alto di aggressività.

Se è vero che sono pochi gli adolescenti che continuano a comportarsi in modo violento, in quei pochi l'aggressività si esprime in modo serio, pericoloso e per lo più stabile.

Nell'aggressione fisica si evidenziano soprattutto delle difficoltà relazionali legate alla scarsa elaborazione di competenze sociali più evolute e all'abitudine di interpretare e risolvere i conflitti sociali secondo "copioni" stereotipati che comportano l'attacco e le prevaricazione Questi comportamenti sono stati spesso considerati come un modo per porsi contro il mondo adulto e le sue regole, rispetto al quale l'adolescente si sente marginale o poco integrato.

Tale interpretazione vale particolarmente per coloro che sono più gravemente coinvolti nel furto e nel vandalismo.

Questi ragazzi sono poco coinvolti nell'attività scolastica, che tendono ad abbandonare. Questa sperimentazione di sé, consente di rafforzare la propria identità e di ottenere, nel contempo, una certa visibilità sociale, sia pure in negativo.

Ciò vale soprattutto per coloro che non trovano altri modi per affermare se stessi e che non sono sufficientemente identificati con positivi valori sociali.

In realtà, questi messaggi plateali nascondono l'incapacità di comunicare attraverso altre modalità più evolute e simboliche, prime fra tutte il linguaggio, che comportano anche ascolto e confronto.

Ci sono molte altre possibilità per acquisire visibilità sociale, per esprimersi e per "lasciare un segno" non distruttivo sulla realtà. Un comportamento ispirato alla tolleranza permette di avere un'azione di controllo su di se, nello sforzo esercitato per inibire risposte potenzialmente aggressive.

La tolleranza è un comportamento autoriflessivo destinato a rappresentare degli aspetti positivi e costruttivi nell'ambito delle relazioni interpersonali e della comunicazione. L'atteggiamento tollerante presuppone un'osservazione non superficiale del comportamento altrui.

Secondo lo psicologo G. W. Allport, che più di altri si è occupato della personalità tollerante, la tolleranza consiste nel non disapprovare, ma accettare, non reagire in modo ostile ma in modo benevolo. Inoltre la tolleranza è fondata anche sulla fiducia, su un atteggiamento ottimistico nei confronti delle intenzioni e dei comportamenti altrui. La fiducia negli altri presuppone, in qualche modo, un atteggiamento positivo di base da cui deriva la fiducia in noi stessi. Se non abbiamo fiducia in noi stessi difficilmente potremo averne negli altri.

Chi si sente minacciato tenderà ad escludere, a non accettare. Tenderà a ricercare modalità adattative, compensatorie.

L'aggressività interna molto spesso verrà scaricata, o comunque dislocata, ricorrendo con frequenza a meccanismi di difesa.

  • Le esperienze spiacevoli vengono ricacciate nell'inconscio
  • Si tende ad attribuire ad altri intenzioni malevoli ed aggressive che sono invece le proprie
  • Si cerca di scansare, di non affrontare esperienze e circostanze che potenzialmente potrebbero far rivivere momenti di frustrazione, di disagio emotivo, di paura.

Ma attraverso un processo di autocomprensione e di autotrasformazione delle reazioni emotive spiacevoli, si può migliorare la fiducia in se stessi.

Intelletto ed emozioni non sono aspetti del funzionamento umano completamente separati, ma il pensiero può influenzare le reazioni emotive.

Le nostre emozioni derivano non tanto da ciò che ci accade, ma dal modo in cui interpretiamo e valutiamo ciò che ci accade.

Dal momento che le nostre reazioni emotive sono in gran parte determinate dal nostro modo di pensare, ne deriva che, cambiando modo di pensare riusciremo a cambiare anche il modo in cui ci sentiamo.

E' bene abituarsi a suddividere le proprie esperienze emotive in tre parti

  • La situazione (o evento attivante)
  • I pensieri
  • La reazione emotiva e comportamentale

Per identificare con esattezza l'evento attivante è opportuno separare l'evento dalle interpretazioni e dalle valutazioni che lo riguardano.

Ogni situazione che viviamo viene commentata interiormente. Le emozioni derivano dalle considerazioni che facciamo sugli eventi.

Le reazione emotive sono funzionali al significato che diamo alle situazioni. Per indicare il nostro stato emotivo usiamo vari aggettivi.

Essi si riferiscono alla diversità con cui possiamo provare le emozioni fondamentali. Principali emozioni negative: depressione, ansia, collera, senso di colpa.

Aggettivi per descriverle: dispiaciuto, deluso, triste, arrabbiato, offeso.

Per superare una reazione emotiva spiacevole è importante mettersi a riflettere:

  • collegando l'emozione all'evento attivante,
  • rievocando poi i pensieri irrazionali e mettendoli in discussione,
  • arrivare infine ad un diverso modo di pensare e di sentirsi riguardo alla situazione.

CATEGORIE PRINCIPALI DI PENSIERI IRRAZIONALI

  1. Doverizzazioni o uso assolutistico del verbo dovere
    Consistono nel ritenere che "le cose devono assolutamente andare cosi", che "gli altri devono assolutamente comportarsi in un certo modo", che "io devo assolutamente avere quello che voglio". L'errore sta appunto nel considerare un'esigenza assoluta ciò che nella maggior parte dei casi sarebbe solo obiettivamente preferibile.
  2. Espressioni di insopportabilità, intolleranza
    Consistono in pensieri del tipo "non lo sopporto", "non tollero che", "è insopportabile". Sono forme di esagerazione attraverso le quali l'aspetto sgradevole di un evento o di una persona viene ingigantito, determinando un atteggiamento di rabbia o di evitamento.
  3. Valutazioni globali su se stessi e sugli altri
    In questo caso l'irrazionalità consiste nel giudicare una persona nella sua globalità partendo da uno solo o da pochi comportamenti osservati. Inoltre, il comportamento di una persona viene spesso erroneamente equiparato alla persona stessa ("hai fatto una cosa stupida, quindi sei uno stupido").
    Questo errore nel modo di pensare porta a far uso di etichette che esprimono valutazioni globali tipo "incapace", "stupido", "carogna".
    Tali attributi possono essere pensati riguardo agli altri oppure possono essere rivolti a se stessi. Quando sono riferiti agli altri, questi pensieri fanno nascere nei loro confronti un atteggiamento di ostilità o di rifiuto; se riferiti a se stessi determinano disistima e sconforto.
  4. Pensieri catastrofizzanti
    Consistono nel considerare il verificarsi di certe cose come un evento "terribile", "orrendo", quando obiettivamente sarebbe solo spiacevole o fastidioso. Spesso si tratta di pensieri che anticipano in modo esageratamente negativo eventi futuri, provocando quindi reazioni d'intensa ansia.
  5. Indispensabilità, bisogni assoluti
    Consistono in affermazioni che trasformano in bisogno assoluto ciò che obiettivamente sarebbe solo preferibile. Prendono spesso forma di pensieri del tipo "non posso rinunziare a ...", "ho assolutamente bisogno di ...", " non posso fare a meno di ...". Le conseguenze emotive di questo modo di pensare possono essere ansia, depressione, ostilità.

LA CREATIVITÀ E L' IMMAGINAZIONE

La creatività può essere definita come capacità di produrre, in una situazione data, composizioni, idee, che sono essenzialmente nuove od originali e che i loro autori non conoscevano prima di produrle.

Può trattarsi di attività immaginativa o di sintesi mentale, quando ciò che viene prodotto è più di una semplice somma di nozioni e concetti.

Quest'attività' può consistere sia nel formare nuove strutture e nuove combinazioni, a partire dall'informazione che proviene dall'esperienza passata, sia nel generare dalle vecchie relazioni situazioni fino ad allora sconosciute.

La produzione creativa rappresenta una sorta di combinazione di abilità primarie, combinazione che può variare secondo i tratti di comportamento che si differenziano da individuo a individuo.

La ricerca, in psicologia, riconosce generalmente a tutti gli uomini, e non solo a pochi eletti, una comune attitudine alla creatività, rispetto alla quale le differenze si rivelano per lo più come un prodotto di fattori sociali e culturali.

La funzione creatrice dell'immaginazione appartiene quindi all'uomo comune e non soltanto allo scienziato o all'artista: è addirittura una condizione necessaria e fondamentale per poter adeguatamente affrontare la vita quotidiana.

Il prodotto della creatività, come quello della fantasia e dell'invenzione, nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce.

La creatività e la fantasia, saranno più o meno fervide se il bambino avrà più o meno possibilità di fare relazioni.

Un individuo, con occasioni creative limitate, difficilmente può avere una grande fantasia perché dovrà usare sempre i mezzi che ha, quello che conosce: se sono poche le cose che conosce avrà la possibilità di creare molteplici relazioni e non potrà, quindi, oltrepassare un certo livello di sviluppo creativo.

Se vogliamo che un individuo diventi creativo, dotato di fantasia produttiva e non soffocata, bisogna metterlo nella condizione di memorizzare più dati possibili ed aiutarlo a mettere in relazione tra loro i concetti acquisiti.

Nei limiti delle sue possibilità, ciò gli permetterà di sentirsi capace di risolvere i problemi che ogni volta gli si presenteranno.

Questo naturalmente non significa che automaticamente un individuo con tanti stimoli sia anche automaticamente una persona creativa e fantasiosa.

Ci sono individui che hanno memorizzato una quantità enorme di dati che resteranno come un meraviglioso magazzino di dati inerti.

L'allargamento della conoscenza e la memorizzazione di dati va fatta nell'età' infantile, attraverso il gioco.

I nuovi giochi creativi, come quelli al computer, permettono anche ai portatori di handicap di intervenire, di partecipare, di fare agire la fantasia per risolvere dei problemi semplici o per visualizzare delle azioni sempre diverse o per costruire qualcosa nello spazio tridimensionale con elementi modulati (per es. i Lego).

La creatività va stimolata inventando delle attività a sfondo ludico attraverso le quali tutti possano imparare sempre qualcosa di nuovo, possano impadronirsi di tecniche nuove e possano capire le regole.

Per esempio nel disegno troviamo sempre un messaggio, ma se questo non è costruito con le regole del linguaggio visivo, il messaggio non viene ricevuto e così non si ha comunicazione con gli altri.

LO SPAZIO CREATIVO

Le origini della creatività risiedono nel divario che esiste tra la realtà esterna e la sua rappresentazione mentale, proprio in quanto non esiste quasi evento o esperienza che vengano rappresentati come tali, senza cioè venire interpretati e sottoposti al vaglio di "ipotesi" che corrispondono a visioni del mondo.

Se il nostro cervello si limitasse a registrare informazioni, depositare memorie anonime, assortirle per categorie con una procedura simile a quella di un computer, senza deviare in modo congruo o incongruo, volontario o casuale dalla razionalità e dalle strategie fedelmente logico-computazionali, non vi sarebbero processi mentali plastici, divergenti, creativi.

Le definizioni della creatività sono spesso insoddisfacenti e si riferiscono a un vasto insieme di atteggiamenti, capacità e comportamenti intelligenti e innovatori: così, quando pensiamo alla creatività non ci riferiamo soltanto a quella più "classica" dell'artista, del grande scienziato o dell'inventore ma a una serie di capacità che si strutturano nel corso dello sviluppo e che hanno una lunga storia naturale.

E', infatti, creativo un bambino che utilizza un giocattolo o del materiale amorfo per inventarsi un uso o impiego alternativo come è in qualche modo creativo un animale che riesce a risolvere un problema al di fuori delle risposte usuali e stereotipate che caratterizzavano il suo modo di guardare alla realtà.

Considerata in questi termini, la creatività sconfina con le stesse funzioni e caratteristiche di base del nostro cervello, con la plasticità e capacità di elaborare una pluralità di schemi mentali e visioni del mondo.

Ogni funzione mentale racchiude in sé degli aspetti plastici e in qualche modo creativi che possiamo rintracciare nell'ambito di percezioni, memorie, immagini mentali e rappresentazioni della realtà, sia nel corso del pensiero diurno che delle attività oniriche.

Ad esempio, la continua ristrutturazione delle memorie, il processo di contaminazione dei ricordi da parte di esperienze successive, il loro rimaneggiamento conscio e inconscio è un processo creativo nella misura in cui emerge una rappresentazione della realtà che si discosta dal suo nucleo originale, dai suoi parametri reali.

La creatività viene immaginata come un "qualcosa" di vivo, sempre in movimento, che stupisce, che si rinnova, che cambia, che non è così afferrabile come potrebbe esserlo un oggetto. L' oggetto è una cosa che posso descrivere, tenere in mano, passare a qualcuno: la creatività è più sfuggente.

Il senso più profondo della creatività sta soprattutto nel processo che porta alla realizzazione dell'oggetto "creato". Tuttavia una cosa considerata ieri creativa, oggi potrebbe apparirci banale.

Informazioni aggiuntive

  • Scritto da: Valerio Palombella

Dott.ssa Facilone

Psicologa e Psicoterapeuta ad Orientamento Psicoanalitico, Gruppoanalista, Psicologo Giuridico e Psicopatologo Forense.

Dove sono

Via Giulio Petroni 37/F - 70124 Bari 

Cell. 328 3721698
Email: info@psicologafacilonebari.it

Facebook Like